La storia delle fotografia inizia da quando venne costruito il primo strumento in grado di imprimere per sempre un’immagine su di un supporto.
Non fu una cosa immediata, inizialmente quest’arte aveva tutto purché l’immediatezza; si parlava infatti di catturare un momento ma inizialmente per catturare quel momento occorreva una preparazione lunga e arzigogolata. Ma veniamo a come fu inventato, progettato il primo strumento che ha reso possibile tutto questo.
Il filosofo Aristotele, osservò che la luce passando attraverso un piccolo foro, riusciva a proiettare un’immagine circolare e subito dopo l’arabo Alhazen Ibn Al-Haitham giunse alle stesse conclusioni, chiamando quindi per la prima volta la “scatola” dove vi era questo foro “camera oscura”.
Leonardo da Vinci studiando e notando la riflessione della luce sulle superfici sferiche invece, chiamò la camera oscura in questione “Oculus Artificialis” (occhio artificiale), aggiungendo poi una lente alla camera oscura iniziale.
Inizialmente un’apparecchio del genere, venne utilizzato per studiare l’eclissi solare, diverse furono le figure che piano piano con il loro ingegno e intelletto arrivarono ad ottenere la prima macchina fotografica; chi iniziò a provare diversi tipi di lenti, chi aggiunse il primo diaframma e così via dicendo.
Per “catturare” la luce però serviva anche un supporto e va quindi va ricordato lo scienziato tedesco Johann Heinrich Schulze che durante alcuni suoi esperimenti, si accorse che: il nitrato d’argento, reagiva alla luce, la sostanza diveniva rossa scura se colpita dalla luce del sole, esattamente come per la maggior parte delle pellicole e carte in bianco e nero, diffuse fino alla prima metà del Novecento e basate sugli alogenuri d’argento. Schulze decise quindi di chiamare la sostanza scotophoruss, portatrice di tenebre.
Alcuni studi però sostengono che le prime forme di fotografia siano state utilizzate già da pittori i quali utilizzavano una tecnica per riprodurre immagini più fedeli e più vicine alla realtà: Nicholas Allen, sostenne che la Sindone di Torino sia una “sorta di fotografia” rudimentale medievale, realizzata su lino con il cloruro d’argento.
Anni dopo un ceramista si accorse che senza fissare l’immagine tutto ciò andava perdendosi, siamo nell’ottocento e dopo molti tentativi e esperimenti Joseph Nicéphore Niépce scoprì che il bitume di Giudea un tipo di asfalto normalmente solubile all’olio di lavanda, una volta esposto alla luce era sensibile e andava a indurirsi, così Niépce cosparse una lastra con questa sostanza e vi sovrappose l’incisione di un cardinale, si formò l’immagine e la lastra indurendosi rimase, questa lastra poi poté essere utilizzata per la stampa. Questa tecnica, venne chiamata: “eliografia”
Fu però Daguerre che pubblicò un libro (Historique et description des procédés du dagguerréotype et du diorama) che fu tradotto ed esportato in tutto il mondo; e sempre Daguerre fece fabbricare delle camere oscure, queste dovevano essere costruite in legno, dovevano essere provviste di lenti nello specifico acromatiche, progettate da Chevalier con obiettivi che avevano una lunghezza focale di 40,6 cm e una luminosità di f/16. Infine prevettò il tutto.
Daguerre continua a sperimentare, portando a termine un procedimento che porta il suo nome: il dagherrotipo.
Il dagherrotipo (chiamato anche lo specchio dotato di memoria) è un tipo di immagine che contiene nella stessa copia il positivo e il negativo. Ma questo ancora non bastava.
Per quanto riguarda le sostanze e i primi liquidi fu davvero un lavoro di tantissime teste, furono molti gli esperimenti e ci tengo a citare tra questi i nomi più importanti William Fox Talbot, John Herschel, Louis Daguerre e Hippolyte Bayard che presentò il suo procedimento nel giugno del 1839 attraverso quella che sarebbe stata la prima mostra fotografica della storia e piano piano il concetto di imprimere un’immagine fu sempre più possibile.
Il 1841 fu l’anno della svolta ad opera di Talbot, che capì la possibilità di terminare la trasformazione dei sali d’argento non solo mediante l’azione della luce, ma con l’utilizzo di un nuovo passaggio chiamato sviluppo fotografico. La carta veniva immersa nel nitrato d’argento e acido gallico, esposta e immersa nella stessa soluzione permettendo infine la comparsa dell’immagine. Per questo nuovo procedimento Talbot richiese e ottenne un brevetto.
Talbot poi, produsse poi il primo libro fotografico, il The Pencil of Nature, contenente 24 immagini.
La fotografia non sostituì la pittura, anzi ne favorì alcune correnti a artistiche stiamo parlando dell’impressionismo, il cubismo e il dadaismo.
La possibilità poi, di catturare un paesaggio in pochi minuti e con una elevata quantità di particolari fece della fotografia l’ideale strumento per i ricercatori e i viaggiatori.
E fu così che piano piano, la fotografia si iniziò a diffondere a macchia d’olio, migliorò l’attrezzatura e nacquero molti studi fotografici in tutto il mondo, fu possibile eseguire ritratti, immortalare scene e abiti di moda e si passò quindi dai vari formati analogici all’era del digitale.